Teatro

Giacomo Leopardi, uno di noi. Ce lo racconta Giuseppe Pambieri

Giacomo Leopardi, uno di noi. Ce lo racconta Giuseppe Pambieri

E' Leopardi-mania: tra teatro e cinema, il poeta dallo "studio matto e disperatissimo" è ora protagonista più che mai."L'Infinito Giacomo" è un ritratto straordinario che gli toglie di dosso i panni da sfigato con la gobba con cui siamo soliti identificarlo. Giuseppe Pambieri ci solleva da anni di studi e, in un'ora e un quarto, ci presenta un Leopardi formato zip, un "bigino" inedito che (ri)scopre il poeta di Recanati attraverso  l’Epistolario, lo Zibaldone, gli scritti filosofici e politici, le Operette Morali e i Canti. Ne esce un giovane come tanti, con le sue passioni e le sue contestazioni;  un ragazzo dalle normali pulsioni sessuali che si strafogava di dolci e aborriva il brodo,  tanto da arrivare a scrivere l'ode "A morte la minestra": "Ora tu sei, Minestra, dei versi miei l'oggetto, e dirti abominevole mi porta gran diletto...".  Leopardi divertente e comico?  Ebbene sì, e ce lo racconta proprio Pambieri.


Come nasce questo progetto di riscoperta del poeta?
Tre anni fa, mentre portavo in scena Edmund Kean, mi ha contattato Giuseppe Argirò, che è il regista nonché l'autore dell'assemblamento di questo testo. Mi è sembrata un'idea interessante e ho accettato volentieri. Il debutto lo abbiamo fatto al Teatro antico di Segesta all'alba, alle 5 del mattino, in un'atmosfera dalle suggestioni incredibili. Sono da solo in scena col leggìo, tanto che all'inizio pensavo fosse un po' riduttivo. Invece funziona benissimo, sia negli spettacoli al mattino per le scuole che nel serale.

Che ricordi ha del Leopardi studiato sui libri di scuola?
Mi piaceva molto e piaceva a tutta la mia classe, molto più del Pascoli.  Di Leopardi c'era e c'è questo fascino strano, e lo spettacolo fa  proprio emergere i suoi lati più curiosi che a scuola quasi nessuno è mai riuscito a scoprire.

Per esempio?
Che odiava l'acqua e non si lavava, che detestava la minestra e che era golosissimo di dolci, di gelato in particolare. Nel periodo in cui visse a Napoli, scendeva dal Vomero e si addentrava nella città, passando in rassegna le migliori pasticcerie e ingozzandosi di babà.  E ancora, il suo rigore morale e la sua modernità: l'accanimento con cui si scagliava contro l'Italia fa venire i brividi, tanto che le sue invettive i suoi proclami ricordano quelli della Lega.

Come reagiscono gli studenti a questo "backstage" della vita del poeta?
Siamo abituati a liquidarlo in due parole:  secchione e pessimista. Invece scoprono un ragazzo proiettato verso la vita, che pur non essendo felice non è un rancoroso. Uno, che con tutte le sue disgrazie,  dalla vita carpisce ciò che può. Giacomo riesce sempre e comunque a bypassare questo suo stato terrificante per lanciarsi verso la vita... e "La Ginestra" ne è l'emblema.

C'è quindi solidarietà da parte dei giovani.
Assolutamente si.  In fondo, era un giovane come loro, però minato nel fisico e con addosso questa maledizione: alto 1 metro e 41, con la tubercolosi ossea...è uno che suscita emozione e tenerezza. Al pubblico giovane piace perchè era un contestatore ante litteram ed era contro il conformismo in cui era immerso: viveva in questa casa nobiliare dove tutto era fermo, immobile, mentre lui e le sue opere rappresentavano un rottura.  I giovani captano queste cose e quindi l'impatto emotivo è enorme.

Il film di Martone presentato a Venezia piace molto. Perchè la gente va a vederlo in questo momento di crisi? E' un'identificazione?
Innanzitutto fa piacere vedere un film italiano che ha successo ai botteghini. Sicuramente questa attenzione è esplosa anche grazie al film, ma c'è da dire che Leopardi l'ha portato in scena anche Gabriele Lavia poco tempo fa. Quello che vedo è che c'è un'interesse generale in Europa: a Londra addirittura hanno tradotto lo Zibaldone usando sette traduzioni diverse per riuscire a essere esaustivi.

Le liriche di Leopardi hanno un incipit di solarità luminosa, diversamente dalle Operette. Forse Giacomo nasce  ottimista e vira poi nel pessimismo?
Sì, lo credo anche io. Era portato all'ottimismo. Di certo, se non avesse avuto questa infanzia orribile e la malattia, sarebbe sicuramente stato un altro. Ma non sarebbe stato Leopardi e non saremmo qui a parlarne ancora così tanto.

Se Leopardi vivesse ai giorni nostri, di cosa scriverebbe?
Vivrebbe di web, assimilerebbe i multimediali.  Sarebbe uno all'avanguardia,  un innovatore...e lotterebbe contro le tradizioni vecchie e appassite. Me lo immagino come un seguitissimo animale da social, con milioni di followers.

L'Infinito Giacomo
Al Teatro Manzoni di Milano l'11 novembre 2014
Al Teatro dell'Angelo a Roma il 17, 18 e 25 novembre
E da metà marzo 2015, una serie di matineés per le scuole al Teatro Quirino di Roma